STORIA

PREISTORIA 
Durante l’era Neolitica si sviluppò l’industria fittile e contemporaneamente si sentì la necessità di associarsi e  di vivere in comunità: sorsero così villaggi di capanne, uno dei quali nacque dove si trova ora Viverone. Dai  ritrovamenti avvenuti a Viverone e nel Vercellese si può affermare che l’insediamento si formò nel periodo èneo (o  del Bronzo). Il clima e l’uso di strumenti in bronzo hanno favorito una crescita demografica ed il rafforzamento  dell’economia agricola. 

Prima della scoperta dei villaggi lacustri le più antiche tracce della presenza dell’uomo  nel circondario del lago di Viverone erano: 1- Nella torbiera di Moregna (presso Viverone), nel 1830, fu rinvenuta  casualmente una forma di fusione. 
Nel lago di Bertignano (presso Viverone) vennero trovate due piroghe, la prima nel 1912 e la seconda nel 1978.Presso  Bertignano, località Cava di Purcarel (Viverone) è stato individuato un villaggio lacustre di capanne costruite su  dodici ammassi di ciottoli di grosse dimensioni. Uno scavo eseguito nel luogo di tale villaggio avrebbe portato ad  individuare materiali ceramici riferibili a due differenti strati. Quindi, anche se non si possono datare i reperti,  si possono riconoscere due epoche differenti di frequentazione del sito. 
Presso la frazione Masseria Viverone sono stati trovati utensili in selce provenienti dal lago. Nel complesso i  reperti ed i dati ottenuti documentano una presenza attiva dell’uomo a Viverone già migliaia di anni fa e permettono  di dedurre che ivi esistevano dei villaggi palafitticoli. Questa tesi è confermata dalla scoperta di quattro di  questi villaggi presso il lago di Viverone che, secondo la datazione al carbonio 14, risalgono all’850 A.C. (tarda  età énea), anche se secondo alcuni studiosi potrebbero essere anche più antichi. 
Nel 1966, dopo un attento studio delle condizioni ambientali del lago, ebbe inizio a Viverone, in località Cascina  Nuova, una ricerca subacquea di reperti che confermassero la presenza di villaggi palafitticoli. Le scoperte non si  fecero attendere e proprio a Cascina Nuova venne trovato il primo campo di pali, a questo ne seguirono altri tre di  diverse dimensioni. I quattro siti sommersi furono denominati con le sigle VI.1, VI.2, VI.3 e VI.6. Mentre VI.3  (Cascina Nuova) risulta isolato ed in posizione nettamente differente, i tre siti VI.1, VI.2 e VI.6 documentano un  fitto popolamento della sponda N-NW del lago. Ubicati in bassi fondali, senz’altro emersi durante la fase recente  (1300-1200 a.C.) e finale (1200-900 a.C.) dell’età del Bronzo per via di un ritorno del clima secco ed arido, i  villaggi possono rappresentare un unico momento insediativo oppure un’espansione demografica con la costruzione di  nuovi nuclei di capanne o di palafitte. Dalle mappe di distribuzione dei pali del sito VI.2 (173 pali) si possono  già` individuare quattro case a pianta rettangolare, collegate alla sponda o ad un margine rialzato mediante una  passerella o un camminamento protetto, che a due terzi del percorso presenta uno sbarramento ben marcato: la  palizzata. Inoltre alcuni pali più` al largo fanno pensare ad un molo verso il lago aperto. La semplice lettura  della planimetria ed il rigido schematismo logico della disposizione degli spazi fanno di questo insediamento quasi  un modello classico di villaggio lacustre. Non si può dire la stessa cosa, per motivi diversi, degli altri tre siti:  VI.1 e` molto ampio (5000 pali) quindi complesso nella lettura, VI.3 nonostante le ridotte dimensioni (71 pali) e`  complicato nella planimetria, infine VI.6 non e` ancora stato analizzato approfonditamente. Dalla ridotta dimensione  delle case si presume fossero abitate ognuna da un solo nucleo famigliare. Dal ritrovamento di molte ossa di animali  si e` venuto a conoscenza che la macellazione molto probabilmente era praticata quotidianamente; gli animali  riconosciuti sono diversi: Bue domestico, Cervo, Pecora, Ovicaprini domestici, Maiale, Capra, Cavallo, Cane  domestico e Camoscio; da questo si deduce che l’alimentazione base si fondasse sulla carne ottenuta dal bestiame  bovino. La pesca aveva, stranamente, un ruolo del tutto secondario per queste comunità palafitticole. L’analisi dei  reperti archeologici rinvenuti sul sito VI.1 permette di meglio definire cronologicamente le vicende dell’uomo sulle  sponde del lago. Della ceramica raccolta sul sito rimangono: olle, dolii, orcioli, scodelle e tazze; tali  ritrovamenti sono distinti in due tipi dagli studiosi: i primi grossolani dall’impasto meno curato sono i  prevalenti, i secondi di ceramica più fine hanno le superfici levigate. Per entrambe le classi la decorazione si  presenta abbastanza varia. 
Dei reperti fittili vanno ricordati diversi pesi di varie forme. Tra i reperti litici G. Giolitto ha rinvenuto una  forma di fusione per fondere spilloni. I prodotti della metallurgia recuperati sono: una punta di lancia, un rasoio,  un probabile morso per cavallo, due spilloni, due pinzette, ovviamente in bronzo. Il complesso di materiali  rinvenuti consente di riferire i villaggi palafitticoli di Viverone alla fase medio recente dell’età del Bronzo. Si  trattava di una popolazione ricca, con un’economia solida basata sull’agricoltura integrata con l’allevamento. I  manufatti inoltre dimostrano un’ottima tecnica di lavorazione. 

PREISTORIA 
Di Viverone nel tempo romano sappiamo ben poco, va comunque ricordato che nei suoi pressi passava la Via Francigena,  che da Vercelli, attraverso Ivrea ed Aosta, giungeva in Francia. Le rive del lago erano, però, in quel tempo solo  percorribili a piedi, erano cioè assenti strade carrabili. 
Per l’epoca medioevale ci restano invece maggiori informazioni che ci giungono soprattutto grazie a documenti di  tipo ecclesiastico. Viverone sin dai primi secoli cristiani faceva parte della diocesi di Vercelli, i cui vescovi  furono tra gli evangelizzatori più vivi ed attivi dell’ Italia settentrionale. Tra questi spicca la personalità di  Eusebio, inviato a Vercelli nel 345 da S. Ambrogio. Probabilmente anche Viverone dovette risentire di questo sforzo  evangelizzatore compiuto dalla Chiesa vercellese.
E’ soprattutto, però, per i secoli successivi che ci sono attestati questi collegamenti tra Viverone e Vercelli. La  grande fioritura del monachesimo cistercense e cluniacense che si ebbe nei secoli XI e XII in tutta l’Europa  cristiana si estese anche a Vercelli e da lì a Viverone la chiesa di S. Michele, sulle sponde del lago di Viverone  risulta infatti tra le proprietà riconosciute al monastero benedettino cluniacense di S. Michele Arcangelo e di S.  Genuario di Vercelli da due documenti, uno, del 1151, del papa Eugenio III e l’altro, del 1159, dell’imperatore  Federico I Barbarossa. La chiesa di S. Michele fu poi chiamata ” cella di S. Marco” nei secoli successivi e nel XVI  secolo i suoi monaci fruivano dei diritti di pesca sul lago. Anche la chiesa di S. Martino, oggi scomparsa, che si  trovava in località Comuna, risulta, da un documento del XIII secolo, dipendere dalla stessa abbazia di S. Michele e  S. Genuario e questa chiesa diede per un certo periodo il nome allo stesso lago che veniva chiamato appunto lago di  S. Martino. Probabilmente i monaci di S. Michele non furono i soli abitanti delle rive del lago nel medioevo, ciò  che viene attestato da una serie di reperti ritrovati nel lago stesso – da una grossa trave ad una grande campana  che venne estratta dal lago nel 1760 circa. Per quanto riguarda più generalmente la storia di Viverone essa non si  discosta da quella di tanti paesi del Canavese, che nei secoli medioevali subirono dapprima nella seconda meta dell’  VIII secolo lo scontro tra Longobardi e Franchi, quindi dal periodo carolingio conobbero l’affermazione del sistema  feudale, per partecipare poi al fenomeno comunale e ai tentativi degli imperatori germanici nei secoli XII e XIII di  riaffermare il loro potere sull’Italia settentrionale. Per la presenza dei Longobardi in questa zona va segnalato  che alcuni studiosi ritengono che sull’altura dell’anfiteatro morenico canavesano, nel tratto che va dalla Dora  Baltea sino al termine della Serra, dovesse correre un grande vallo difensivo eretto dai Longobardi al fine di  chiudere la via per la Pianura Padana agli eserciti dei Franchi, nel caso questi fossero riusciti ad affacciarsi  dalle valli di Aosta e Susa. 
Per quanto riguarda, poi, il periodo feudale anche a Viverone dominarono dei signori che costruirono nel secolo XII  – in data non precisabile – un castello, all’interno del quale sorgeva anche una chiesa dedicata a S. Giovanni  Battista. Più tardi – nel 1405 – fu eretto a difesa di Viverone un ricetto un borgo fortificato, cioè, i resti del  quale sono ancora visibili nella parte alta del paese. 
. Nel periodo comunale Viverone entrò nell’area del comune di Vercelli, a cui i signori di Viverone -Ardizzone e  Bonifacio nel 1194- dovettero prestare giuramento di fedeltà. Nel secolo XIII Viverone, che gravitava sempre nella  zona d’influenza del comune di Vercelli, risentì delle devastanti lotte tra le due fazioni quella guelfa e quella  ghibellina. A quest’ultima appartenevano i nobili vercellesi – i Bicchieri – a cui erano stati ceduti dal capitolo  della chiesa di S. Andrea di Vercelli i territori di Viverone, di Roppolo e di Azeglio. Le lotte della fazione  guelfa di Vercelli contro i ghibellini e in particolare contro Pietro Bicchieri coinvolsero anche Viverone, che subì  in questo periodo gravi distruzioni. Nel Trecento Viverone non visse un periodo tranquillo, ma continuarono le lotte  tra le fazioni vercellesi che coinvolsero anche il Canavese. Nella seconda metà del secolo Viverone si trovò poi ad  essere tra i paesi contesi tra i Visconti e i Savoia. Viverone si schierò ora con gli uni ora con gli altri a  seconda di quello che sembrava al momento il pericolo minore. Ma non le furono risparmiate neanche le distruzioni  operate dagli eserciti mercenari che tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento devastarono tante zone  italiane. Viverone fu infatti saccheggiata, insieme a Roppolo, dal condottiero Ficino Cane, che combatteva al soldo  dei Visconti. Nel 1404 il duca Amedeo VIII di Aosta prevalse infine su Ficino Cane e sui Visconti e gli abitanti di  Viverone gli giurarono sottomissione, chiedendo al duca di poter quivi costruire il ricetto. 


ETA’ MODERNA 
Viverone ed il suo lago, nei secoli che vanno dal XV al XIX, furono coinvolti nelle grandi trasformazioni che  sconvolsero in quel periodo tutta l’Italia ed in particolare il Piemonte. In questi secoli tra Viverone ed i paesi  limitrofi s’intensificarono le lotte per i diritti e la proprietà del lago. I viveronesi, appartenenti ad una  piccola comunità con esigue risorse economiche, hanno comunque difeso tenacemente e con successo i propri diritti  sul lago. Fin dal Basso Medioevo hanno sempre sentito come propria la signoria sul lago ed i relativi diritti di  pesca, navigazione ed adacquamento della canapa. Per la proprietà del lago scoppiò, alla fine del 1400, una lite tra  Cavaglià e Roppolo. Viverone, invece, ha la prima controversia nel 1479 e l’ultima nel 1876. La prima lite, per  l’appunto, scoppiò nel 1479, con Borgo D’Ale, successivamente con i signori d’Azeglio ed i Marchesi di Ponzone, poi  col signor Giacomo Soldati per una questione dell’acquedotto. Le liti si susseguirono numerose; l’ultima fu con  Alice. La controversia con questa località è stata la più lunga, durò infatti fino alla fine del 1800. Durante il  1500 la comunità aveva proceduto all’acquisto di un quarto del lago e solo in seguito delle altre tre parti. Nel  1912 l’acqua del lago di Bertignano venne utilizzata, con condutture forzate, per scopi industriali; tra i due laghi  funzionava l’officina centrale idroelettrica fatta costruire dalla società elettrica Alta Italia. Durante la notte,  con dei motori, l’acqua del lago di Viverone veniva mandata in alto, nel lago di Bertignano; di giorno poi,  sfruttando la forza di caduta, l’acqua di Bertignano veniva utilizzata per produrre energia, nel momento di maggiore  richiesta. Questa centrale è ancora esistente, ma è usata come scuola per i tecnici dell’Enel.